Amori pericolosi

Due giovani che si amano, ma la loro unione è ostacolata dai poteri forti che non disdegnano di ricorrere alla forza per impedire il loro legame. No, non si tratta del Renzo e della Lucia del Manzoni. Non siamo alla fine degli anni Venti del ‘600, ma settant’anni dopo: nell’agosto del 1701. Non siamo nemmeno in Lombardia, ma molto più vicino: a Fighine.

E’ la storia travagliata dell’amore tra Francesco e Isabella, raccontata in tre puntate da Paolo Minucci Del Rosso nella Miscellanea Storica Senese nel 1896.

Francesco, della famiglia romana dei Bonelli, era Marchese di Cassano, Conte del Bosco, Duca di Montanara e, soprattutto per noi, Duca di Salci. Nato nel 1659, era figlio di Michele Ferdinando e Isabella Ruini, era pronipote del Cardinale Carlo Bonelli e nipote diretto di un altro prelato: Antonio Pio Bonelli che ritroveremo nella nostra storia. La descrizione di Francesco che ne fa l’Ambasciatore toscano a Roma, il Conte Anton Maria Fede, non è delle migliori: “non si sa cosa faccia e sempre più spiantato che mai … colle sue prodigalità aveva danneggiato talmente il suo patrimonio, che nel luglio dello stesso anno 1701 era stato per la seconda volta trasmesso un Commissario alli suoi beni”.

Isabella Tremoni invece era una cantante, o per dirla con il Minucci Del Rosso “canterina di professione, come dicevasi allora, ed artista di canto secondo la frase moderna”. Immaginiamo sia stata una bella donna, tale da far perdere la testa al Duca Francesco, il Minucci Del Rosso la vede come “giovine ed avvenente, o che almeno possedesse quella freschezza e rotondità di forme che suol chiamarsi la Bellezza del Diavolo, i documenti da me consultati non affermano, né negano; possiamo tuttavia supporlo, in quanto che sia noto: come agli uomini, in generale, non piaccia di studiare osteologia sulla persona delle loro amasie, ed amasia del Bonelli era appunto la nostra canterina”.

Abbiamo così conosciuto i due protagonisti della storia la cui relazione amorosa era apertamente osteggiata dallo zio di Francesco, monsignor Antonio Pio Bonelli, che faceva fuoco e fiamme appellandosi a destra e a manca: dapprima si affidò all’Ambasciatore di Spagna a Roma, quindi direttamente al Papa, Clemente XI. Il Papa fece quindi rinchiudere la povera Isabella nel Conservatorio della Clemenza (detto anche “il Rifugio” per l’assistenza delle donne maltrattate dai mariti o abbandonate o vedove povere), ottenuta la promessa di lasciar perdere la storia d’amore con Francesco, la cantante fu rilasciata. La promessa durò dalla sera alla mattina e Isabella e Francesco tornarono insieme “con evidente derisione del Papa e col grave scandalo che inevitabilmente resulta” come scrive il Giraldi, segretario del Granduca, all’Auditore Generale di Siena Aurelio Sozzifanti.

Per Francesco ed Isabella la situazione a Roma si era fatta esplosiva, quindi si rifugiarono a Salci, ma anche qui era molto pericoloso per essere ancora dentro i confini dello Stato Pontificio. Pensarono che la miglior soluzione fosse quella di andare all’estero. Fortunatamente per loro ancora doveva passare più di un secolo e mezzo prima di vedere all’opera il Ricasoli, Cavour, Mazzini, Garibaldi, quindi il confine era a portata di pochi passi: attraversato il Fossalto sarebbero entrati nel Granducato di Toscana.

E lo fecero, asserragliandosi all’interno del castello di Fighine. A Roma la notizia giunse il 13 agosto ed il Papa convocò subito l’Ambasciatore Fede chiedendo al Granduca di far arrestare Isabella, dando dispensa di poterla arrestare ovunque, anche se si fosse rifugiata in chiesa.

La scelta di Francesco e Isabella non poteva rivelarsi più sbagliata: erano sì all’estero, ma non avevano fatto i conti con Cosimo III, che oltre ad essere vicino a Clemente XI era notoriamente bigotto e “si sarebbe fatto un dovere di coscienza di fare arrestare la disgraziata canterina ad ogni richiesta del Pontefice”.

E Cosimo III si dette subito da fare, passò l’ordine di arrestare Isabella al suo Segretario Jacopo Giraldi, questi girò l’incarico all’Auditore Generale di Siena Aurelio Sozzifanti che, a sua volta, trasmise l’ordine al Bargello di Campagna di Siena Maurizio Castagnino, che in pratica era il capo della polizia e responsabile dell’ordine pubblico.

Certo che alla corte di Cosimo doveva sembrare facile portare a termine l’impresa, ma più si scendeva nella gerarchia di comando, più si palesavano i rischi ed i pericoli, tanto più che già circolavano le voci che il Duca Francesco si era fortificato in Fighine con “20 huomini gente tutta forestiera facinorosa, con quantità d’armi e con due petriere alla porta del medesimo palazzo, il quale è TUTTO ad uso di fortezza, con una sola porta di ferro, fiancheggiata d’una grossa muraglia, con finestre alte e ben guardate da grosse ferrate”. Di sicuro non era un’impresa per il solo Bargello ed i suoi birri. Ci voleva anche l’esercito. E qui il problema risale la linea di comando e raggiunge il Ministro della Guerra Montauti, che trova l’aiuto del Governatore di Pitigliano, Antonio Navarrete.

Ed il Navarrete mette a punto il suo piano: assediare Fighine !!! Affiancando ai famigli del Bargello i soldati del Quarto di Banda di queste zone e, per stare più sicuri, farsi prestare un cannone dal Sotto-Provveditore della fortezza di Radicofani, il Conte Cantini. Requisito essenziale dell’operazione: la massima segretezza. E siamo arrivati al 6 settembre.

Tenere un segreto non era proprio nelle corde del Bargello e il piano fu presto a conoscenza di tutti, se ne parlava fino a Ponte d’Arbia … nemmeno il diversivo di concentrare gli uomini del Bargello in Val di Chiana ebbe successo, sapendo tutti che dovevano prendere Fighine andarono a Radicofani. Anche il Podestà di San Casciano Carlo Vannocci, insieme al Drelli andarono a Radicofani per capire cosa dovevano fare.

Il Navarrete era sconsolato e relazionò al Ministro Montauti la situazione così come si era sviluppata, mettendo le mani avanti in caso di insuccesso dell’operazione o di fuga del Duca Francesco.

Finalmente si partì alla volta di Fighine, agli uomini al comando del Bargello si unirono altri 80 uomini della Banda (l’esercito granducale era composto dalle Bande, compagnie locali dove erano arruolati i toscani tra i 20 ed i 50 anni).

Giunti al castello fu intimato al Duca Francesco di arrendersi, ma questi rispose che avrebbe preferito morire insieme ad Isabella “a colpi di coltello lanciati dalle sue proprie mani”. Si venne quindi ad un colloquio tra il Navarrete e il Duca, ma senza altro esito che la conferma della volontà di resistere ed attendere l’attacco “sull’altar maggiore della Chiesa”. Si preannunciava un epilogo sanguinoso e tragico.

Intorno alle 13:00 il Navarrete dette l’ordine di attacco: soldati e famigli partirono all’assalto ma, a differenza di quanto dichiarato e con gran stupore degli attaccanti, il Duca non fece “resistenza alcuna, anzi subito aveva gridato mi rendo”. E la povera Isabella, che tanto confidava nel valore dell’amato, finì per essere arrestata dalle truppe granducali e trasferita nella fortezza di Radicofani. Era il 9 settembre, la fuga amorosa non era durata nemmeno un mese.

Della sorte di Isabella si sa poco. Fu trattenuta a Radicofani per diciassette giorni e, come d’accordo con il Papa, fu poi scortata fino a Centeno e consegnata agli uomini del Vescovo d’Orvieto per essere trasferita a Roma. In quest’ultimo viaggio Isabella trovò conforto nella compagnia della radicofanese Sofonisba Arcisi ne’ Pellei, che per lei svolse il ruolo che la moglie del sarto ebbe per Lucia quando il Cardinale Borromeo la mandò a prendere al castello dell’Innominato. Attraversato l’Elvella e giunta nello Stato Pontificio, la vita di Isabella sprofonda nel buio della storia, speriamo che abbia trovato la felicità ed una famiglia, anche se è più probabile che sia stata costretta ad entrare in qualche convento.

Del Duca Francesco invece si sa che dopo la non brillantissima difesa della sua donna e la precipitosa resa nella chiesa di Fighine, inizia a scrivere “un diluvio di lettere” al Navarrete per riavere indietro spada e archibugio sequestrati, minacciando addirittura di far pubblicare un libello contro il Granduca. A parte che non si capisce di cosa se ne facesse delle armi se tanto non le utilizzava, rischiò di far perdere la pazienza a Cosimo III che per un attimo ebbe la tentazione di far arrestare anche lui. Passata l’avventura fighinese e l’amore per Isabella, Francesco si sposò due volte: prima con Caterina de Hieronimo e poi con Anna Vittoria di Lorenzo Conte dell’Anguillara dalla quale ebbe due figli, Pio che morì a 22 mesi e Marcantonio, futuro ottavo duca di Salci, che nacque l’8 aprile 1722 poco prima della morte di Francesco che avvenne l’11 ottobre dello stesso anno.

Rimangono alcuni interrogativi: che ruolo ebbe il Marchese Del Bufalo nella vicenda? Nessuno ne parla, ma in fin dei conti Francesco e Isabella avevano trovato rifugio nel suo castello per quasi un mese e nessuno, né il Papa, né il Granduca gliene chiede ufficialmente conto. Che ruolo ebbero gli abitanti di Fighine? Probabilmente neutro, anche perché il Ministro della Guerra aveva scritto al Navarrete che nel caso che dal “popolo e gente di Fighine volesse darsi impedimento all’esecuzione degli ordini assistendo il Sig. Duca predetto o suoi dipendenti, o per salvarlo con la Donna o solo, V. S. gli intimi l’indignazione di S. A. e di incorrere nella pena dei ribelli”. Perche’ il Duca Francesco e Isabella lasciarono la sicurezza del castello per rifugiarsi in chiesa? Che fine fecero gli uomini che dovevano difendere i due amanti? sempre che siano mai esistiti o siano stati solo frutto delle chiacchiere e della prudenza degli attaccanti?

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