Il latitante: Giannotto de l’Ongaro

Domenica 23 gennaio 1508, il Podestà di San Casciano si appresta a coordinare una delicata operazione di polizia, al comando di cinquanta fanti presidia tutte le uscite della nostra chiesa, ha ricevuto l’ordine direttamente da Pandolfo Petrucci. Il potente signore di Siena infatti aveva risposto positivamente alla richiesta delle autorità orvietane di arrestare un loro cittadino che si era rifugiato da noi: Giannotto de l’Ongaro.

Giannotto, ignaro di tutto questo apparecchiamento di forze, era andato alla Messa mattutina e appena messo piede fuori dalla chiesa fu arrestato dal Podestà che gle mese mano al gozzalino et pigliollo.

Il lunedì successivo il prigioniero fu scortato fino ad Acquapendente dove era stato fissato l’appuntamento con la scorta militare orvietana che avrebbe preso in custodia Giannotto, lo scambio avvenne la sera sul tardi. Il prigioniero fu messo a cavallo con le mani legate dietro e condotto ad Orvieto.

Per Giannotto le cose non si mettevano affatto bene, appena arrivato ad Orvieto gli furono dati dieci tratti di corda, tortura ripetuta altre quattro volte la mattina dopo, mercoledì. Dopo questi trattamenti era inevitabile la confessione, così forse come la condanna capitale che lo avrebbe liberato da tanto dolore e dalla storpiatura degli arti che gli avrebbe reso difficile continuare una vita normale. Il 13 febbraio 1508 dopo esser stato portato lungo le vie cittadine legato su un carretto trainato da un asino fu giustiziato mediante decapitazione in Piazza del Popolo. Ma Giannotto non doveva proprio essere nato sotto una buona stella, al primo colpo di mannaia cascò il ceppo, nonostante la ferita e il sangue che fuoriusciva a fiotti il povero Giannotto non moriva, il boia fu quindi costretto a rimettere in piedi il ceppo, posizionare di nuovo il condannato e sbrigarsi a dargli il colpo di grazia e, finalmente per lui, Giannotto perse la testa e la vita. Ser Tommaso di Silvestro (che ci accompagnerà con il suo Diario ancora per qualche altro appuntamento) ricorda che la mattina dell’esecuzione fu una pessima giornata anche dal punto di vista meteorologico: in tal dì et la mactina per tempo quasi in su el chiarire del dì, incomenzò ad carminare overo ninguire et incomenzò terribile mente ad venire la nieve et durò per spatio de meza hora, adeo che incomenzare ad allegare et curriva la strata per l’acqua che era piovuta, et se non fusse piovuto se serria terribile mente alzata la nieve, ma da puoi se convertì in acqua: per la montagna tucta fu nieve. Et mentre che se cavava fuore per condannarlo [Giannotto], se levò uno terribile vento et trasse grande mente.

 Ma cosa aveva fatto Giannotto per meritarsi tutto questo? Di sicuro non era uno stinco di santo.

Il crimine per il quale era stato emesso l’ordine di cattura ed il successivo arresto fuori dalla nostra chiesa di San Casciano, era relativo all’omicidio di Alessandro di Luca di Giliuzzo, un omicidio su commissione e dietro la promessa di 25 ducati. Ma Giannotto non era un semplice sicario, infatti aveva preso accordi con entrambi i litiganti al fine di eliminarne uno per l’altro e viceversa. Alessandro di Luca era da tempo in lite con Cecco di Taddeo di Giovanni di Gherardo, una lite che non aveva altra soluzione che la morte di uno dei due, per far questo avevano ambedue bisogno di un sicario e tutti e due, a loro insaputa, si rivolsero a Giannotto che, perfidamente, accettò entrambi gli incarichi.

Non c’è dato sapere per quale motivo Giannotto decise di uccidere Alessandro, forse perché Cecco pagava di più, forse perché lo riteneva più facile, forse il caso, chissà.

Giannotto propose il suo piano ad Alessandro: avrebbe fatto venire Cecco dentro Orvieto e, una volta dentro, lo avrebbero assassinato insieme. Alessandro accettò il piano. Giannotto raggiunse quindi Cecco e gli prospettò di sfruttare il piano messo a punto per ritorcerlo contro l’ignaro Alessandro. Nel giorno convenuto Alessandro, armato di spada e pugnale e protetto da una corazza leggera sotto la veste, raggiunse Giannotto presso Porta Vivaria per attendere l’arrivo di Cecco. Da Porta Vivaria i due si portarono verso San Nicola e Santa Croce per andare a casa di Alessandro e prendere un mantello ed un cappello per rendere irriconoscibile Giannotto. In questo girovagare per la città, con Alessandro davanti e Giannotto dietro, si consumò l’omicidio. Giannotto alzò la mazza della quale era armato e colpì violentemente alla testa Alessandro, il primo colpo non fu sufficiente (uno scherzo del destino, sarà quello che poi capiterà allo stesso Giannotto sotto la mannaia del boia) e fu costretto a colpire altre due volte la vittima già a terra, per essere sicuro lo colpì due volte alla nuca anche con la sua stessa spada. Raccolse in fretta tutto: mantello, corazza e spada della vittima e si allontanò per andare incontro a Cecco, trovatolo gli consegnò le cose che aveva tolto alla vittima quale attestazione del delitto avvenuto e ricevette un primo acconto di sette ducati dei venticinque pattuiti. Grazie alle torture le autorità orvietane vennero a conoscenza di altri episodi criminali consumati da Giannotto, dall’omicidio di due sue mogli, alla vendita di una delle sue figlie ad un ruffiano, la quale si salvò solo chiedendo a gran voce aiuto ed al provvidenziale intervento di alcune donne che riuscirono a strappargliela dalle mani. Confessò inoltre di aver rubato dal Convento di Santa Maria de’ Servi otto corone d’oro e diverse monete approfittando dell’assenza dei monaci impegnati in una processione e di aver rubato in molte occasioni grano, cavalli ed asini.

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