Di come Celle è entrata a far parte della Repubblica di Siena

Abbiamo visto la transizione dal dominio feudale dei Visconti di Campiglia al dominio di Siena per San Casciano e Fighine, rimane da seguire il percorso seguito da Celle sul Rigo. Abbiamo anche visto come per San Casciano il passaggio è avvenuto per comune accordo delle parti e con base giuridica, mentre per Fighine la soluzione giuridica è stata affiancata da operazioni militari a bassa intensità, nel caso di Celle il passaggio è avvenuto al termine di una vera e propria guerra.
Tre situazioni con basi di partenza uguali e tre soluzioni completamente differenti nell’arco di pochi decenni e nello spazio di pochi chilometri.

Sul finire del XIII secolo i Visconti di Campiglia si legarono in virtù di matrimoni con la famiglia orvietana dei Monaldeschi (Latina dei Visconti di Campiglia sposa Corrado Monaldeschi) e con la famiglia senese dei Salimbeni (con Guido/Brettaccone Salimbeni), delineando le rispettive influenze sui nostri territori. Così, mentre San Casciano e Fighine entrarono nell’orbita orvietana, Celle si trovò ben presto all’interno dei domini dei Salimbeni e quindi, di riflesso, nella politica senese.

I Salimbeni, mercanti e banchieri, erano ricchi, talmente ricchi che Salimbene fu in grado di offrire 118mila fiorini al Comune di Siena per affrontare la lega guelfa nella battaglia di Montaperti. Inizialmente investono le loro ricchezze nel patrimonio immobiliare della città di Siena per poi estendere i loro interessi al contado, da un lato l’investimento fondiario assumeva un carattere di sicurezza contro i rischi delle operazioni finanziarie e mercantili, dall’altro accresceva la solidità delle garanzie che la famiglia poteva dare ed infine un consolidamento del proprio potere che, attraverso l’acquisto di terre e castelli, condurrà alla creazione di una sorta di un vero e proprio stato nello stato. I castelli acquisiti e controllati divenivano le basi da dove condurre lo scontro politico in città e dove reclutare le proprie truppe. Alcuni castelli verranno “ceduti” dallo stesso Comune di Siena per onorare i propri debiti con la famiglia, altri verranno acquisiti direttamente, altri perverranno in virtù di matrimoni come quello con i Visconti di Campiglia. La Val d’Orcia sarà il nucleo forte di questi possedimenti, tra i quali rientrerà anche Celle.

L’esecuzione nel maggio del 1374 di Andrea di Niccolò di Bonso Salimbeni, reo di aver preso illegalmente il castello di Perolla, rompe ogni rapporto della consorteria con il governo senese dando inizio alle ostilità.

Da un lato c’era Siena, una città in crisi dopo la grande peste del 1348, minacciata dalle incursioni dei fiorentini e delle compagnie di ventura che chiedevano continui riscatti per lasciare il territorio, dalle turbolenze nel governo cittadino dove i rappresentanti del Popolo e dei Riformati si sentivano discriminati rispetto agli altri “Monti”. Dall’altro lato c’erano prima Cione e poi suo figlio Niccolò Salimbeni, detto Cocco, a capo di una vera e propria signoria comprendente i castelli di Montantico, Castiglione d’Orcia, le Briccole, il Palazzo di Geta, la Rimbecca, Castelvecchio, Contignano, Castiglioncello sul Trinoro, Foscola, Radicofani, Chiusi e Celle sul Rigo.

Nel 1380 mentre i senesi assediavano Montorio, Cione Salimbeni da Celle riforniva gli assediati rendendo vana l’impresa.

Nel 1402 i Salimbeni, così tutti i senesi espulsi da Siena in precedenza vengono riammessi in città per cercare di riportare la pace, ma la situazione è esplosiva e il 26 novembre 1403 i Salimbeni promuovono una congiura che finisce nel sangue: negli scontri Francesco, Neri e Tofo Salimbeni rimangono uccisi, Cocco e Petrino riescono a fuggire per rifugiarsi in Val d’Orcia e vengono dichiarati ribelli e banditi nuovamente da Siena.

Nell’aprile del 1404 Firenze e Siena raggiungono un accordo di pace, all’interno del quale riesce ad inserirsi Cocco Salimbeni che viene riammesso in Città. Tra le clausole dell’accordo fra Siena e i Salimbeni si trova anche Celle, in quanto Cocco si impegnava a ridurre i diritti di passaggio e le gabelle nelle sue terre, ad eccezione dei diritti di passaggio da Chiusi, Radicofani e Celle.

Gli accordi del 1404 non frenano le ambizioni politiche di Cocco volte a prendere il potere a Siena, né quelle del governo senese di recuperare al proprio diretto controllo i castelli soggetti ai Salimbeni.

Nell’aprile del 1409 una nuova minaccia si profila all’orizzonte per Siena, il Re di Napoli Ladislao marcia da sud con il chiaro intento di assoggettarla e farne la testa di ponte per prendere l’intera Toscana. Cocco si schiera al suo fianco, ma commette un errore, Ladislao non riesce nel suo progetto e le comunità valdorciane cominciano a ribellarsi allo stesso Cocco e sottomettersi a Siena: la prima a farlo è la comunità di Contignano seguita da quella di Radicofani. Le truppe senesi assediano Tintinnano e Castiglione d’Orcia e a questo punto Cocco è costretto a fare pace con Siena.

La morte del re Ladislao nell’agosto del 1414 lascia completamente solo Cocco Salimbeni e Siena ne approfitta per intensificare il recupero dei territori, fino a quando nel 1418 non lancia l’ultima carta: il Consiglio Generale del 27 gennaio delibera che tutti i castelli e fortezze di Cocco pervengano in potere del comune, a qualsiasi costo!

Cocco si trova a Tintinnano, è ben fortificato e resiste ai soldati senesi, fino a quando non viene tradito da Giovanni del Zola che apre le porte della Rocca, Cocco con sua moglie e una decina di fanti si rifugiano dapprima nella torre e poi si consegnano ai nemici. Per Cocco Salimbeni finisce così la sua cittadinanza senese, insieme alla moglie Marietta si dovrà trasferire a Firenze mentre tutti i suoi beni passeranno a Siena.

A questo punto anche Celle firmerà i capitoli di sottomissione a Siena il 14 marzo 1418 e, in cambio, Siena darà alla comunità cellese il Palazzo e le proprietà che i Salimbeni avevano nelle loro terre.

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