I Visconti di Campiglia: Pepo di Tancredi

Sicuramente il più ardito e celebre dei Visconti di Campiglia fu Pepo, figlio di Tancredi. Di lui lo storico senese Tommasi disse: fu sempre suddito poco fedele, e cittadino ingrato alla Repubblica. Difatti Pepo fu il più ostile, fra i Visconti, nei confronti di Siena ed espose il suo feudo a continue guerre contro la città ghibellina.

Il suo dominio coincise con uno dei periodi più travagliati della nostra parte di Toscana: quel XIII secolo nel quale raggiunse l’apice la lotta fra guelfi e ghibellini.

Apparentemente, viste le premesse, si sarebbe pensato ad un periodo di pace visti i patti tra Siena e Firenze a Fonterutoli e fra Siena e Perugia a Montefollonico del 1201, e quelli dell’anno successivo fra Siena ed Orvieto, nonché quelli più tardivi, 1222, fra Siena e gli eredi di Ildebrando Aldobrandeschi. Ma i focolai rappresentati dalle mire egemoniche di Siena nei confronti di Montepulciano e Montalcino costituivano una delle cause che avrebbero, di lì a poco, portato l’intera Toscana alla guerra.

In questo primo periodo di Pepo non si hanno notizie, si suppone che rispettasse i patti sottoscritti con Siena da Sinibaldo nel 1197, considerato che non lo vediamo intervenire in aiuto dei montalcinesi nei ripetuti tentativi dei senesi di sottometterli nuovamente al loro dominio.

Questo fino al 6 marzo 1234, quando Pepo Visconti sottoscrive un patto di alleanza con Firenze ed Orvieto, divenendo ufficialmente partigiano del partito guelfo. Questo cambio di campo fu senza dubbio il frutto del momentaneo indebolimento dei ghibellini dovuto alla lontananza di Federico II impegnato ad Aquileia in una Dieta; i guelfi ne approfittarono per mettere a punto un piano di difesa comune e cercare nuove alleanze. I patti fra le due città guelfe ed i Visconti prevedevano che questi ultimi dovessero difendere in perpetuo i distretti di Orvieto e Firenze, fare viva guerra specialmente contra ed adversus senenses, aiutare ed accogliere i soldati fiorentini, orvietani, montalcinesi e montepulcianesi in castro et rocca de Campilio et omnibus aliis suis Terris, in cambio i Visconti sarebbero stati fatti partecipi a tutte le trattative diplomatiche con Siena e garantita la restituzione di ogni loro possedimento caduto in mano dei nemici.

A Siena, dove già si aspettava un inevitabile duro scontro con Firenze, non venivano tollerati problemi sul fronte meridionale quindi, come già era successo con Montalcino e Grosseto, anche per i Visconti di Campiglia si profilava una dura punizione. I primi a subire le ire dei senesi furono i cellesi che, poco dopo il patto firmato da Pepo, si videro far prigionieri diversi uomini, e l’anno dopo la vendetta senese si abbatté direttamente su Campiglia che fu messa a sacho, e a sterminio, e fu arsa perché loro non si volsero mai arendere e chapitaro tutti male, salvo che le donne le quali furo mandate tutte a Siena, e non le fu fatta nissuna vilania: e molte rimasero vedove, perché i loro mariti furo morti nella scharamucia … e a quelle donne, le quali e’ loro mariti erano rimasti prigioni, per compassione loro furo renduti, perché non avevano modo da rischuotarsi … e quali furo, menati tutto a una fune nel Duomo nostro, e per l’amore della Vergine Maria, al quale ci dette tanta vittoria … furo rilaghatti nanzi a l’altare magiore.

Nel frattempo si inaspriva lo scontro fra fiorentini e senesi, con esito favorevole ai primi che, preso Montalcino, si mossero verso Poggibonsi, Siena accusò il colpo e quindi accettò le condizioni di pace proposte da Frà Guglielmo, nunzio inviato da Papa Gregorio, comprendenti la cessione di Montepulciano a Firenze in cambio della restituzione di Montalcino, ma quando il 30 giugno 1235 si venne alla firma della pace il nuovo nunzio, il Cardinale di Palestrina, presentò alle parti un nuovo testo che prevedeva la cessione a Firenze di Montepulciano, Montalcino e perfino Poggibonsi, chiaro segnale della volontà papale di indebolire i ghibellini visto il minaccioso ritorno di Federico II che si apprestava ad affrontare i Comuni guelfi lombardi. Come previsto dagli accordi del 1234 anche Pepo de’ Visconti di Campiglia entrò nelle trattative ed ebbe come risultato la restituzione dei prigionieri e di Campiglia. Ma se Siena aveva dovuto sottostare alle incredibili condizioni verso Firenze, non voleva rimetterci anche con un avversario più piccolo quale era Pepo, soprattutto perché voleva ottenere il ritorno all’antica fedeltà della sua consorteria. Così il 2 agosto ancora non si era dato luogo all’esecuzione dei capitoli di pace, anzi i senesi giuravano di non poter restituire Campiglia perché era occupata da masnadieri che non gli ubbidivano. Nel frattempo, segretamente, cercavano di liberare gli ostaggi dati a garanzia del rispetto dei patti. Solo l’8 settembre, grazie alla mediazione di alcuni nobili senesi vicini a Pepo, si ebbe la risoluzione della vicenda con la sottomissione di Pepo a Siena ed il suo giuramento di farsi cittadino senese; il 23 settembre, a Celle, Pepo si impegnò a far giurare fedeltà alla comunità di Campiglia, mentre i senesi avrebbero, in cambio, provveduto alla difesa di San Casciano e Fighine. Nel 1237 anche Guglielmo Aldobrandeschi accortosi de’ pericoli suoi per via dell’intensificarsi delle azioni senesi volte apertamente e segretamente a contrastarlo, si sottomise a Siena, seguito a ruota da Ranieri di Torniella; per il momento le maggiori famiglie feudali, dalla Val d’Orcia alla Maremma, erano legate a Siena.

I rapporti fra Siena e Pepo andavano tuttavia deteriorandosi, finché nel 1250 i senesi furono costretti ad occupare Campiglia. Quindi alla morte di Federico II, Pepo, approfittando del momentaneo sbandamento dei ghibellini, si affrancò dai legami che lo univano a Siena. Anche Guglielmo Aldobrandeschi riprese le ostilità nei confronti dei senesi. Siena si trovava quindi impegnata sia contro i feudatari dei confini meridionali, sia contro fiorentini, montepulcianesi e montalcinesi, finché, l’11 giugno 1254 a Stomennano, si venne ad un’ennesima pace, grazie alla quale Pepo poté rientrare in possesso di Campiglia.

Siamo così al 1260 e si prepara il grande scontro fra guelfi e ghibellini. Le due fazioni serrano i ranghi ed il prologo dello scontro si ha nel mese di maggio quando i fiorentini, insieme agli orvietani, a Pepo Visconti ed all’Aldobrandino di Pitigliano, cingono d’assedio Siena, ma la sorprendente e devastante controffensiva dei tedeschi alleati dei senesi, che cacciavano con l’arme nuda con tanta ira, e con tanta rabbia, che gli occhi loro per natura torti, pareva che sfavillasero, e le faccie horribili, e le barbe rabbuffate, e le voci tremende, indicevano estremo terror ne nimici già rotti, costrinse l’esercito guelfo a ritirarsi. Pepo e l’Aldorandino nel viaggio di ritorno sfogarono la propria rabbia saccheggiando Montelaterone e provocando forte risentimento in Siena.

I fiorentini, decisi a togliere di mezzo Siena, chiamarono a raccolta tutti i guelfi, giunsero aiuti da Pistoia, Lucca, Bologna, Genova, Arezzo, Prato, San Miniato, Cortona, Volterra, Colle Val d’Elsa, San Gimignano, cavalieri lombardi e, naturalmente, da Orvieto (con 2000 uomini al comando di Sinibaldo Rubini), da Pepo dei Visconti di Campiglia (600 uomini) e dall’Aldobrandino di Pitigliano (1000 uomini).

Il 4 settembre 1260 a Montaperti l’esercito guelfo fu affrontato da quello senese rinforzato con i cavalieri tedeschi dell’imperatore Manfredi. Gli orvietani e l’Aldobrandino si trovavano nell’ala destra dello schieramento guelfo e, presumibilmente, con loro doveva esserci anche Pepo, anche se di lui si sa che insieme con il Conte di Pitigliano combatterono con odio smisurato contro i Senesi. La battaglia fu cruentissima, circa 60.000 uomini si affrontarono sulle rive dell’Arbia le cui acque, immortalate da Dante nel X Canto dell’Inferno, divennero rosse per il sangue versato. Per chi ha in mente le vibranti descrizioni delle battaglie nella Gerusalemme Liberata del Tasso è facile immaginare quali atrocità furono commesse quel giorno, dove per circa otto ore infuriò la battaglia vera e propria e, per altre tre, un massacro indiscriminato operato dai senesi, ebbri di vittoria e di sangue, nei confronti dei guelfi, e specialmente dei fiorentini, che ormai vinti non opponevano che inutili preghiere. Solo il tramonto ed un disperato tentativo di difesa salvarono l’esercito guelfo dallo sterminio totale. Dei tre eserciti giunti dai confini meridionali di Siena sopravvissero circa 300 uomini di Pepo, 400 dell’Aldobrandino e 1350 orvietani; Sinibaldo Rubini fu il primo a cadere per mano del Comandante dell’esercito senese, il conte Aldobrandino Aldobrandeschi (nipote dell’Aldobrandino di Pitigliano), trafitto dalla lancia che, dopo aver sfondato il suo scudo, gli aveva attraversato il corpo; l’Aldobrandino di Pitigliano invece ebbe la meglio su Giovanni Ugurgieri e mentre stava per uccidere anche Gualtieri d’Astimbergh (il cavaliere tedesco che aveva aperto la battaglia) fu affrontato e ferito da Niccolò Bigozzi, caduto da cavallo fu catturato dai senesi dopo una furiosa e confusa mischia tra i suoi soldati e quelli del Bigozzi; anche Pepo fu catturato.

Non sappiamo se e quanti sancascianesi abbiano partecipato alla battaglia, i soldati al seguito di Pepo furono 600, abbastanza per comprendere uomini da tutto il feudo. In particolare i sancascianesi non erano proprio gli ultimi arrivati in fatto di armi e battaglie, Jacopo Gori li ricorda dodici anni prima protagonisti della presa di Chiusi: L’anno 1248 Federigo Imperadore venendo con l’esercito all’assedio di Parma, mandò un Capitano Simone in Toscana, con una parte di sua gente, e mosso dalle preghiere de i Perugini, andò all’assedio della Città di Chiusi, e con trattato dei fuorusciti Chiusini, ed ajuto di 50 Sancascianesi lo prese in pochi giorni. Questo ci consente di ipotizzare una partecipazione di nostri concittadini alla battaglia di Montaperti.

Riscattato dalla prigionia Pepo Visconti si trasferì, insieme al fratello Napoleone, a San Casciano e qui, il 3 agosto 1262, fece procura nella persona di Uggieri da Proceno per giurare fedeltà a Siena ed a Manfredi.

Ancora una volta le promesse di Pepo si rivelarono di breve durata, già si era collegato con altri guelfi toscani nella cosiddetta “Compagnia degli Assassini”, quando nel maggio 1264 fu nuovamente dichiarato ribelle.

Nell’estate del 1265 fomentò, insieme all’Aldobrandino di Pitigliano ed ai fuoriusciti senesi la ribellione di Grosseto. La reazione di Siena fu immediata e la città ripresa. Fu questa l’ultima avventura di Pepo, dopo una vita spesa pericolosamente in continue guerre, trovò la morte in battaglia alle porte della città maremmana, alla testa dell’esercito ribelle alla Repubblica che aveva sempre odiato.

Lascia un commento