I Visconti di Campiglia: dal consolidamento del loro potere alle lotte fra guelfi e ghibellini

Con la fine della dinastia carolingia si ha la progressiva disgregazione della funzione pubblica, così come l’aveva ideata Carlo Magno. Quelle grandi famiglie legate ai Carolingi da vincoli e clientele vassallatiche, ed ai quali dovevano potenza patrimoniale ed autorità pubblica, iniziarono a definirsi, nei propri ambiti di potenza, con un orientamento dinastico più o meno evidente. Del resto, in Italia, la corte di Pavia non aveva più forza e per sopravvivere riconosceva tutte le situazioni di fatto spontaneamente determinatesi, cercando di collegarsi permanentemente con esse. In questo contesto se da un lato i conti, i marchesi e gli altri feudatari si impegnavano a proteggere i propri centri curtensi, dall’altro si ebbe un vuoto di “protezione” per borghi e città con la conseguente autorizzazione regia nel promuovere le iniziative di incastellamento da parte di signori e gruppi di possessori, di comunità religiose, di cittadinanze rappresentate dai vescovi.

Così come si veniva consolidando la dinastia dei Visconti di Campiglia, acquisendo dapprima l’ereditarietà dei propri diritti, e quindi tutti gli altri diritti propri del potere territoriale (percezione di dazi e pedaggi relativi al controllo di ponti, porte e strade, diritto ad emanare ordini ed infliggere multe, giudicare e punire determinati crimini, uso dell’albergaria – l’ospitalità dovuta ai signori che proteggevano le singole località – esigere servizi di guardia nelle fortezze o prestazioni per il loro mantenimento), così si andavano consolidando, quali centri di sviluppo egemonico, le due città vicine: Siena ed Orvieto.

I primi contatti ufficiali fra i Visconti e la politica espansionistica del Comune di Siena si ebbero il 17 dicembre del 1197 quando Sinibaldo accettò di pagare per la festa di Agosto tre marche d’argento alla Repubblica Senese. La sottomissione di Sinibaldo rappresenta la presa di coscienza del feudatario circa il pericolo derivante dalla crescente potenza di Siena. Altre famiglie feudali della zona si erano già piegate alla supremazia senese come i conti Guiglieschi e gli Ardengheschi, mentre coloro che, come gli Scialenghi, incitati dal Vescovo di Arezzo, avevano opposto resistenza, erano stati sottomessi con la forza delle armi.

La posizione del feudo dei Visconti, a cavallo fra le naturali zone di espansione di Siena ed Orvieto, comuni peraltro divisi ideologicamente dall’essere accesi ghibellini i primi e guelfi i secondi, favorirà la sopravvivenza del loro dominio fino al XV secolo, sfruttando abilmente a proprio vantaggio i contrasti fra le due città.

L’iniziale appoggio alla causa ghibellina, confermato dalla protezione concessa loro nel 1170 dal Barbarossa e dalla sottomissione a Siena del 1197, cessò il 10 settembre 1215 quando Visconte dei Visconti di Campiglia firmò l’atto di sottomissione con Orvieto. Con questo atto Visconte si impegnava a farsi cittadino orvietano, ad acquistare nella città beni immobili, a difenderne i cittadini, a non riscuotere nessun pedaggio da parte degli orvietani, sia della città che del contado, di far guerra e pace per conto del Comune di Orvieto contro chiunque, eccetto il papa e l’imperatore e di abitare nella città in tempo di guerra; a garanzia degli impegni sottoscritti fu fissata una multa di mille marche di argento ed il pegno di Castellottieri ed Onano. Ad influenzare il Visconti in questo cambio di campo influirono sicuramente anche gli stretti rapporti d’amicizia dei conti Aldobrandeschi con Orvieto e la nuova situazione politica che vedeva, tra il 1214 ed il 1215, il papa Innocenzo III al culmine della sua lotta contro l’impero avendo sottratto il trono imperiale ad Ottone di Brunswic, favorendo così la parte guelfa su quella ghibellina.

Per San Casciano la sottomissione di Visconte dei Visconti di Campiglia rappresentò la totale dipendenza da Orvieto, da quella politica a quella religiosa, dato che dal 1156 i vescovi di Chiusi erano, per volontà papale, orvietani (Lanfranco Bovacciani dal 1156 al 1172, Gualfredo Bovacciani dal 1172 al 1209) ed anche l’abate Rolando dell’Abbazia di San Salvatore era filo-orvietano. La nuova alleanza avvicinò i Visconti di Campiglia alla famiglia Monaldeschi d’Orvieto la quale era a capo della fazione guelfa della città e schierata contro i ghibellini Filippeschi.

Frattanto in un documento di Federico II del 1226, redatto in San Gimignano, veniva confermato a Tancredi Visconte di Campiglia il possesso dei castelli di San Casciano e Fighine. La scelta di parteggiare per il campo guelfo non esimeva i Visconti dal continuare la loro politica riassunta in modo mirabile dal Canestrelli: instabili nella lor fedeltà, e sempre solo curanti di quello che loro sembrasse a sé maggiormente proficuo, nulla curando se a raggiungere tal fine, violassero la data fede e mancassero alle promesse solennemente giurate. Non mancarono quindi le occasioni di contrasto con il Pontefice, dalla razzia di bestiame della curia pontificia nei pressi di Radicofani nel 1226, per la quale Gregorio IX si limitò ad ordinare a Siena di non favorire in alcun modo Napoleone, alla scomunica decretata verso Tancredi per aver, il 20 maggio 1226, insieme al fratello del Duca di Spoleto, catturato alcuni fiduciari del Papa che custodivano delle lettere che confermavano gli intrighi del Pontefice ai danni dell’Imperatore.

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