Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini.

Con Bartolomeo Passerini abbiamo trovato il punto di maggior contatto fra la famiglia Barberini e San Casciano, andiamo a scoprirne un altro, molto più indiretto e di natura completamente diversa.

Se dal 26 maggio 1643 eravamo in guerra dobbiamo ringraziare proprio Urbano VIII e l’insaziabile sete di potere sua e della famiglia Barberini. Infatti 20 mesi prima, il 27 settembre 1641 il Papa, coadiuvato dai suoi nipoti i Cardinali Francesco e Antonio aveva occupato il Ducato di Castro togliendolo a Odoardo Farnese, il quale a sua volta prese, per pochi giorni, Acquapendente il 9 ottobre 1642.

L’attenzione, ma anche la preoccupazione, degli altri Stati Italiani era alta, in particolare fra le corti di Firenze, Venezia, Modena e Parma. Da subito si mobilitarono gli eserciti, il confine meridionale granducale fu rafforzato con 6mila soldati, altrettanti il Granduca ne mandò a nord e 1500 cavalieri erano pronti ad intervenire laddove se ne presentasse la necessità. Al lavoro c’era anche la diplomazia ed a Castel Giorgio iniziarono i negoziati per arrivare alla pace, ma il 26 ottobre 1642, quando ormai i Barberini erano riusciti ad organizzare meglio le loro truppe sia nelle Legazioni, sia al confine con la Toscana, il Papa interruppe unilateralmente i negoziati.

Nel frattempo, il 31 agosto 1642 il Granducato di Toscana, la Repubblica di Venezia ed il Ducato di Modena avevano sottoscritto un’alleanza, che prevedeva anche la difesa di Parma.

Il 26 maggio 1643 Toscana, Venezia e Modena trasformano l’alleanza difensiva in offensiva, con l’obiettivo di attaccare contemporaneamente lo Stato Pontificio da nord e dai confini meridionali della Toscana. Il 5 giugno le truppe granducali di Mattias de’ Medici muovono da Montepulciano verso lo Stato Ecclesiastico: il 19 giugno conquistano Città della Pieve, il 29 giugno Castiglion del Lago, a luglio marciano verso Perugia. Il 20 e 21 agosto abbattono il “muro grosso” che sbarra la Chiana a Carnaiola, colpo psicologico verso Roma in quanto si riteneva che a seconda di dove erano convogliate le acque della Chiana queste contribuissero ad ingrossare l’Arno o il Tevere aumentando i rischi di alluvioni.

Per lo più la guerra la faceva il Granduca, ma nessuna delle forze in campo era in grado di reggere la fatica dello sforzo bellico così, sia per il cattivo tempo, sia per la stanchezza, si arriva alla pace firmata a Venezia e Ferrara il 31 marzo 1644. Il trattato prevedeva lo smantellamento di tutte le nuove fortificazioni e la restituzione dei territori occupati. Insomma due anni e mezzo di guerra, morti, devastazioni e ingenti somme spese senza che si fosse mutata di un centimetro la situazione prebellica. Già all’epoca questa guerra (la Prima Guerra di Castro) venne etichettata come inutile e ridicola. Di diverso esito fu la Seconda Guerra di Castro (1646-1649): il 3 dicembre. Fu dato avviso dallo Spinola a Nostro Signore (Papa Innocenzo X) della compita demolizione di Castro, ma questo secondo conflitto non ci interessò. 

Ma veniamo a noi, è vero che le truppe granducali avanzavano principalmente nel perugino, ma quelle pontificie tentavano assalti anche dalle nostre parti.

Giovedì 2 luglio 1643 tremila uomini, fra fanti e cavalieri, al comando dell’abate di Castelvillano, compaiono sui Poggi provenendo dalla Monaldesca e iniziano a depredare il bestiame in tutto il contado spostandosi verso ovest, in direzione di Celle sul Rigo. Vengono respinti con una furia tale che molti nemici vengono uccisi.

Venerdì 7 agosto 1643 c’è un nuovo assalto, questa volta ci prova il Colonello Francesco Gambacorta al comando di duemila soldati, ma ancora una volta la difesa ha la meglio ed anche lui è respinto subendo numerose perdite.

A questo punto si passa al contrattacco e il 14 agosto successivo si tenta l’assalto a Trevinano, ma anche in questo caso i difensori hanno la meglio respingendo le nostre truppe.

Degli attacchi a San Casciano si trovano telegrafiche annotazioni nei Libri di Memorie conservati nell’Archivio Comunale. Non si conosce se vi fossero truppe granducali di stanza qui da noi, ma presumibilmente si, non credo che i nostri concittadini potessero tener testa ad eserciti di qualche migliaio di uomini. Di sicuro fra i Toscani c’era uno che San Casciano lo conosceva bene: Mattias de’ Medici, fratello del Granduca Ferdinando II, Governatore di Siena e Comandate delle truppe toscane. Lo troviamo ospite nella casa di Aurelio Manni il 15 ottobre 1642 ed il 15 gennaio 1643 da Giulio Fabbrucci.

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