Un ospitalità particolare: il convento dei Cappuccini. La storia

Abbiamo visto che l’ospitalità per i bagnajoli che venivano a curarsi con le nostre acque termali era garantita dalle abitazioni dei sancascianesi, dal palazzo dell’Arcipretura o, per più poveri, da i tre spedali gestiti dalle compagnie laicali di Sant’Antonio e della Concezione. Esisteva, tuttavia, una ulteriore possibilità di soggiorno: il Convento dei Cappuccini che, come abbiamo visto, ospitò anche il Cardinale Federigo Borromeo. Ripercorriamone la storia.

Scomparsi da tempo i monaci Guglielmiti, a San Casciano non c’era più nessuna presenza di ordini religiosi e questo turbava la comunità che temeva che una tal mancanza fosse di lor poco decoro; e che presso de i Forestieri, che numerosi concorrevano a prender quelle acque, potevansi per avventura acquistare la taccia, o di poca pietà nel cuore, o di scarso capitale per mantenere un Convento di Mendicanti. Dopo averne discusso molto si convenne, nel 1574, di inoltrare la richiesta di fondare un convento all’Ordine dei Frati Minori Cappuccini scrivendo al Capitolo Provinciale della Toscana. Purtroppo ebbero sfortuna, insieme alla loro lettera giunse anche la notizia che il Ministro Generale, Vincenzo da Monte d’Olmo, era morto durante la sua visita in Sicilia, quindi dal Capitolo della Provincia Toscana riunitosi ad Arezzo risposero che erano impossibilitati a dar corso alla nostra richiesta in mancanza del Ministro Generale.

Fu eletto il nuovo Ministro Generale ed i sancascianesi rinnovarono la loro richiesta, ma questo benedetto convento non c’era proprio verso di vederlo autorizzare. Nel 1578, fu quindi deciso di scrivere direttamente al Granduca Francesco I de’ Medici, ottenendo finalmente la sospirata autorizzazione il 12 giugno 1579.

Il 18 ottobre 1579 fu posata la prima pietra alla presenza del Vescovo Salvatore Pacini. La costruzione fu finanziata con le elemosine di tante persone, ma il maggior benefattore fu il poliziano Aurelio de’ Nobili, Abate di Spineto, mentre buona parte del terreno fu donato da Giannotto Simoncelli di Orvieto che, insieme a Cola, possedeva tra i suoi beni in San Casciano anche 12 staia di terra alla Perella. La fine dei lavori fu celebrata il 4 novembre 1584 con la benedizione del Vescovo Masseo Bardi.

La struttura comprendeva la chiesa sotto il titolo dell’Invenzione della Santissima Croce con il solo Altare Maggiore; sotto la loggia, a destra, vi era una Cappella dedicata a Sant’Orsola con la sepoltura dei frati ed un altare per dire messa. Il Monastero era piccolo, contava solo 12 celle “stese in un sol braccio di Dormitorio”. La clausura, delimitata solo da una siepe, fu donata come detto in massima parte dal Simoncelli, da altri privati e da Giulio Fabbrucci che invece se ne riservò un pezzo in attesa che venisse compensato con altra terra da un’altra parte.

Inizialmente si pensava che essendo al limite della Provincia toscana, il monastero non avrebbe riscosso molto successo, invece ben presto risultò superato, perché i frati erano tanti, specie in tempo di bagnatura quando venivano a curarsi alle nostre acque (abbiamo visto che nel 1601 vi soggiornò anche il Cardinale Federico Borromeo). Così come erano insufficienti il solo Altar Maggiore e quello della Cappella di Sant’Orsola per far celebrare le Messe. Era necessario un ampliamento.

I nuovi lavori iniziarono nel 1627 e si conclusero nel 1653, alla fine il convento aveva 22 celle, due dormitori, foresterie per i secolari che si fermavano al convento per curarsi alle terme, un’infermeria ed un refettorio ampio oltre i canoni usuali per gli altri conventi proprio perché doveva accogliere gli ospiti in tempo di bagnatura. Questi lavori furono finanziati in larga parte da Lorenzo de’ Medici, settimo figlio del Granduca Ferdinando I che, nel 1640, si trovava a San Casciano.

Nel frattempo, fra il 1625 ed il 1647, fu realizzato il muro della clausura. Muro che venne danneggiato dal terremoto avvenuto nella notte tra il 4 e il 5 febbraio 1700, un sisma con epicentro sull’Amiata che, a differenza che da noi, rese addirittura inagibile per molto tempo il convento dei cappuccini di Radicofani. Il muro venne riparato da fra Ginepro da Milano.

Nel 1648 si cominciò a pensare di aggiungere un altare e, nel 1664, fu completata un ulteriore cappella a sinistra dove trovò collocazione l’immagine della Madonna delle Grazie, della quale torneremo a parlare.

Nel 1651 i fratelli della Compagnia della Santissima Concezione decisero di migliorare l’accesso al convento, realizzando una nuova strada con relativo ponte in luogo della precedente che passava dall’altra parte del torrente.

La chiesa del Convento aveva una tavola sull’Altare Maggiore che raffigurava Gesù deposto dalla Croce, ma era abbastanza ordinaria e ben presto restò così scolorita che, nel 1666, ne fece una nuova fra Fulgenzio da Firenze, rappresentando Sant’Elena ed il ritrovamento della Croce. Quella vecchia fu appesa in chiesa come ornamento.

Un altro quadro fu dipinto nel 1624 da fra Bernardino da Lucca e donato dall’abate Sforza de’ Nobili, nipote di Aurelio, dove era raffigurato San Francesco che prega davanti una immagine della Madonna.

Nella loggia fu esposto lo stemma in pietra dell’Abate Nobili.

Ma il quadro più importante era quello della Madonna delle Grazie donato dai coniugi Ottaviano Senesi ed Angela Baldanzi, per il quale, a partire dall’anno 1669, crebbe la venerazione ed il 22 settembre 1721 il Vescovo di Chiusi Gaetano Maria Bargagli celebrò l’incoronazione dell’immagine ed i festeggiamenti, organizzati dal Cancelliere Mario Giuliani, durarono otto giorni con gran concorso della gente di San Casciano e dei paesi vicini, in particolar modo delle donne di Celle.

Aurelio de’ Nobili, oltre a finanziare la realizzazione del convento, nel 1583 ottenne anche il privilegio da Papa Gregorio XIII che ad ogni messa celebrata nell’altare di Sant’Orsola pro defunctis un’anima del purgatorio venisse liberata. Si pose poi il dubbio se il privilegio si applicava ai soli frati del nostro convento o a chi vi celebrava la messa. Nel 1616 fu chiesto il parere a Padre Clemente da Noto, procuratore generale dei cappuccini a Roma, e il risultato fu quello che era esteso a tutti i cappuccini che vi celebravano messa.

Approfittando del soggiorno per le cure del Ministro Generale Simpliciano da Milano nel 1660, fu chiesto ed ottenuto di trasferire il privilegio dall’altare di Sant’Orsola all’Altar Maggiore.

Il sigillo locale del Convento portava l’impronta d’una Croce sopra un Monte ai cui lati nasce un Giglio ed una Palma, il tutto ristretto da una Corona reale.

I luoghi della cerca, ovvero fin dove i frati potevano recarsi per ottenere beni in elemosina erano:
San Casciano dei Bagni con il suo territorio.
Celle con il suo territorio sino al Ponte a Centeno.
Trevinano con il suo territorio.
Fighine e Palazzone, del Marchesato dei Del Bufalo, sino ai confini dello Stato Ecclesiastico.
La Montagna di S. Pietro e il suo Contado.
Camporsevoli e le Piazze, del Marchesato dei Giugni.
Cetona con il suo territorio e Montagna, sino all’Astrone.
Le Ripe sino a Fonte Vetriana (esclusa perché era del Convento di Sarteano) e per andare a Radicofani il confine era il fiume “Ormatello”.

Oltre alla cerca, i frati potevano contare sulla legna fornita dalla Comunità di San Casciano e su due some di grano da quella di Celle.

Nel 1811, in seguito alle soppressioni napoleoniche, il Convento fu chiuso e divenne residenza privata.

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