Dei saccheggi e degli assedi: 1455

Giugno 1455, Jacopo Piccinino ed i suoi soldati di ventura studiano le difese di San Casciano per trovare il modo di entrare ed impadronirsi del castello. Non è una cosa semplice. Sono tre le porte che possono dare accesso, escludono subito quella rivolta a nord, la Porticciola, la prima nella quale si sono imbattuti arrivando da Cetona: si trova alla fine di una ripida salita che dal torrente risale quasi verticalmente ed è protetta da una torre ed una bertesca. Si spostano a destra, scendendo lungo il torrente e non hanno alcun dubbio nel ritenere impossibile un assalto alle mura perché il dislivello tra l’alveo del torrente e la base delle mura si fa sempre più elevato e la pendenza sempre più proibitiva. Arrivano agli edifici termali, sarebbero una preda facile ma non è questo che interessa loro. Vedono la seconda porta, quella del Bagno: qui la pendenza è forse più abbordabile, anche la strada è leggermente più agevole, si vede che serve a raggiungere comodamente le strutture termali, ma l’assalto è comunque difficoltoso ed esposto al fuoco dei difensori. Continuano ancora verso destra e la situazione pare cambiare, lasciato il torrente ed un ultima salita la pendenza si va attenuando fino ad arrivare quasi alla stessa quota del centro abitato, anche se la striscia di terra verso il castello è stretta. Si potrebbe tentare, ma anche i difensori avevano capito che questa era la parte più vulnerabile e, di conseguenza, l’avevano fortemente fortificata. Uno schema a triangolo proteggeva la Porta, i vertici erano rappresentati da tre torri, due in linea con le mura ed una avanzata; tra la torre a sinistra e quella avanzata c’è un’antiporta con barbacane; l’area compresa tra l’antiporta e la Porta è protetta da un bastione che andava dalla torre avanzata a quella di destra, proteggendo, sull’altro lato, anche il piccolo pianoro che dopo poche decine di metri finiva nello strapiombo del torrente che riportava alla Porticciola.

Per il Piccinino, che aveva già conquistato Cetona, era necessario assicurarsi quanti più castelli poteva per aumentare la pressione su Siena ed i castelli ai confini meridionali della Repubblica erano adatti a questo scopo, ma come detto non era facile e, sicuramente, non in tempi brevi se non con l’aiuto interno come invece era avvenuto con Cetona. Il Capitano di Ventura era già reduce da un tentativo di assalto infruttuoso a Sarteano, dove aveva rimediato anche una ferita alla coscia della gamba destra (ferito in un ginocchio e scornato nell’onore); doveva tentare a San Casciano: lasciata nella rocca di Cetona una sufficiente guardia, … presa la via della montagna si accostò a San Casciano dei Bagni. Ricevuto ostilmente da quelle popolazioni, quantunque superiore di forze, ma dall’angustia de’ sentieri obbligato a procedere a piccole squadre, la via che sperava di trovare facile e sicura ebbe aprirsi a prezzo di sangue in gagliardi combattimenti. Sforzato il passo, scese al Ponte a Rigo, e traversata la corte di Sorano, prese d’assalto i castelli di Montacutolo e Manciano. Insomma, questa volta gli assalitori furono respinti ed evitato un nuovo saccheggio.

Ma che ci girava Jacopo Picccinino dalle nostre parti? Siamo ad un anno dalla firma della Pace di Lodi che aveva concluso il conflitto tra Milano e Venezia e i loro alleati sparsi nella penisola. I Capitani di Ventura rischiavano di trovarsi senza lavoro e questo favoriva piccoli focolai di guerra, primo fra tutti quello tra il Conte di Pitigliano, Aldobrandino Orsini, e la Repubblica di Siena. L’Orsini occupò Montacuto, i senesi risposero inviando Pandolfo Malatesta ad assediare Sorano. Il Malatesta (condottiero mal fido e in quel momento per sue inoneste opere caduto in disgrazia) si abboccò con l’Orsini e cambiò campo. Siena inviò allora Giberto da Correggio a Sorano. Gli Stati Italiani non gradivano questa instabilità nell’Italia centrale e riuscirono a mettere pace tra Pitigliano e Siena, ma intanto si andavano prospettando altre due minacce per Siena: da Viterbo si apprestava ad entrare nel dominio senese Everso Orsini dell’Anguillara, mentre da nord stava arrivando Jacopo Piccinino, anche lui momentaneamente disoccupato. Se Everso fu convinto a desistere da Papa Callisto III, il Piccinino era arrivato con tremila fanti e mille cavalieri. La prima richiesta del Piccinino fu un riscatto di 20mila fiorini alla Repubblica di Siena, richiesta che fu respinta. Fortuna volle che questa era una fase nella quale la pace e la quiete d’Italia stava a cuore di tutti, che rare volte s’era veduto un così fiorente esercito raccolto a combattere un nemico comune. Il nemico comune era Jacopo Piccinino e contro di lui vi si noveravano le spade più celebri d’Italia: con gli Sforzeschi, guidati come fu detto da Roberto da San Severino e da Corrado da Fogliano, stavano Gaspare da Vimercato, Sforza Secondo Attendolo, Cristoforo Torelli ed altri capitani. Col Ventimiglia nell’esercito della Chiesa militavano Napoleone Orsini e Stefano Colonna, e i due figli del conte Everso dell’Anguillara, Deifebo e Ascanio. Commissario delle genti ducali era Nicodemo da Pontremoli; delle pontificie, il vivacissimo vescovo di Novara Bartolomeo Visconti. A capo dei duecento cavalieri per istigazion di Calisto mandarono i Fiorentini, era Simonetto da Castelpiero, conestabile d’assai reputazione. I senesi, abbandonatasi ormai nelle braccia del mal fido Giberto, avevano pure condotto Carlo Gonzaga, il vecchio ma audace Pietro Brunoro ed altri conestabili, accorsi come gente affamata ad assoldarsi o nell’un campo o nell’altro, dove cioè trovavano maggior profitto. Il Piccinino era giunto al lago Trasimeno, il 19 giugno era a Città della Pieve e quindi a Cetona che sia che la velocità della mossa sorprendesse la poca guardia di quel castello, sia che fossero passate intelligenze con Giovanni Cerasuola e Melchiorre Ercolani, custodi della rocca, si rese padrone di questa e del castello con terrore e spavento grandissimo della popolazione.

Dopo la fuga da San Casciano il Piccinino venne sconfitto a Castro e si ritirò a Castiglione della Pescaia, possedimento del Re di Napoli. L’esercito della Lega Italica iniziò l’assedio di Castiglione dalla parte di terra, ma i rifornimenti al Piccinino arrivavano indisturbati via mare, anche per la connivenza di Re Alfonso. Comunque il Piccinino poteva stare tranquillo dato che un esercito forte e ben provveduto, nel quale si contavano le più temute spade d’Italia, erasene rimasto inoperoso tutto questo tempo sotto le mura di Castiglione, non osando assalire il castello, né sapendo obbligare il nemico a venire a battaglia. Si direbbe che quei condottieri stessero tutti d’accordo a guardarsi in faccia l’un l’altro, di ciò solo premurosi che le paghe continuassero a correre il più lungo tempo possibile. Anzi, il Piccinino era talmente ben assediato che poteva tranquillamente mandare i suoi soldati ad assaltare e saccheggiare i paesi vicini, compresa l’occupazione di Vitozzo. Di buono ci fu solo la riconquista di Cetona da parte dei senesi. Il 15 ottobre 1455 il Piccinino lasciò Castiglione della Pescaia e occupò Orbetello. Le trattative tra Siena, il Papa e Re Alfonso per trovare un accordo di pace si trascinarono tra alti e bassi fino al 31 maggio 1456, quando a Napoli fu firmata la pace: Siena avrebbe riottenuto i territori occupati e il Piccinino sarebbe stato chiamato nel Regno di Napoli dopo aver ottenuto 50mila fiorini da Siena e gli altri Stati alleati. Per le difficoltà di Siena a reperire la propria quota di 20mila fiorini, la presenza del Piccinino si protrasse fino al settembre 1456.

Quindici mesi di guerra, casse esauste, territori devastati e alla fine l’accordo costò per Siena i 20mila fiorini che furono rifiutati all’inizio.

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