Il Capitano: Pamfilo Fabbrucci

La guerra di Siena del 1553/59 coinvolse tutte le comunità della Repubblica, compresa la nostra. Fortunatamente ci risparmiò i lutti e le devastazioni di altri territori (si ricorda solo il ferimento di Santi di Lazzaro e Giacomo di Domenico nell’agosto del 1555), grazie alla nostra posizione periferica nei domini senesi, ma provocò comunque una scissione fra i sostenitori di Cosimo de’ Medici come Aurelio e Gismondo Manni, e quanti rimasero fedeli alla Repubblica in una guerra impari in termini di forze e risorse.

Fra questi ultimi troviamo il rappresentante di un’altra delle maggiori famiglie sancascianesi, Pamfilo di Bartolomeo Fabbrucci.

Le prime notizie su Pamfilo le troviamo nel 1548 quando, insieme a Isidoro di Giacomo, acquista i proventi della “pizzicaria” dal Comune. Successivamente sarà “salajolo”, gestirà così la fondamentale vendita del sale.

Ma la sua carriera inizia sicuramente con la carica di Capitano della milizia sancascianese composta da 66 uomini e dall’alfiere Pompeo di Cesario, agli ordini prima del senese Emilio Costanti e poi di Scipione Vieri. Non sappiano in quali fronti abbiano combattuto, le sei croci accanto ai nomi dei soldati nel ruolo agli ordini del Vieri ci fanno temere che ci possano essere state delle perdite nel contingente sancascianese.

Finita la guerra troviamo Pamfilo protagonista della vita politica e amministrativa del Comune con incarichi di “massaro” (una sorta di consigliere delegato/assessore di oggi) che lo vedono impegnato nella revisione dei conti del grano con la Comunità di Camporsevoli, nelle trattative con Roberto Piccolomini per la quantificazione del credito che questo vantava sulla Comunità di San Casciano, nella risoluzione della lite con Fighine per Poggio Faulle, a quantificare i crediti della Lira (le tasse sulle proprietà immobiliari), a ricomporre la lite tra la Comunità e Antonmaria Drelli per il mulino, a trattare con Fighine i nuovi capitoli tra le due Comunità, a trattare con Alfonso Piccolomini i capitoli con Camporsevoli. Si occuperà anche delle terme, come uno dei massari per i restauri dei Bagni nel febbraio 1560. Il 19 ottobre 1579 sarà anche nominato membro dell’Opera che seguiva la realizzazione del Convento dei Cappuccini. Tra le varie cariche istituzionali previste dagli statuti di San Casciano, Pamfilo ricoprirà spesso quella di “Paciere” e di “Giudice dell’Appellatione. I Pacieri erano due e si occupavano di investigare se per la terra vi siano discordie, et quelle levar via et habbino autorità in tal negotio, di accomodare, et far fare la Pace, et habbino autorità di decidere alcune differenze, et liti da poca somma cioè da vinti lire in giù sommariamente, senza screpito, ò figura di giuditio, fra quelli che fusse la differenza. I Giudici dell’Appellatione erano tre e permettevano con il loro ufficio di ricorrere contro il giudizio del Podestà così che quelli che si sentiranno gravati in alcun modo d’alcuna sentenza, condennatione, ò precetto del detto Potestà possino con il remedio dell’Appellatione sovvenirsi, e sgravarsi et suplire possino tutto quello, che havessero tralasciato nella causa principale. Sicuramente da questi incarichi derivano le sue richieste al Consiglio a favore di vari condannati: chiede di graziare dalla forca Cesare Cillottino, ma di condannarlo a due tratti di fune, marcarlo in fronte con ferri del comune e bandirlo da San Casciano (14.04.1559), di ridurre alla metà la multa ad Astolfo di Vincenzo nella sua causa con Cosimo di Masso (28.09.1559), la grazia per Anton Maria di Francesco (02.12.1559), e chiede di togliere il bando a Arminio di Cristallo (07.03.1560).

Lo troviamo impegnato anche a favore delle attività economiche: dalla richiesta di permettere a Orsino e Mistro, calzolai, di poter venire a stare e lavorare a San Casciano, alla richiesta di consentire l’arrivo di nuovi fabbri, all’autorizzazione a Gismondo Manni di poter tenere un lavoratore a Pian del Frassino, o a proporre il prezzo del pane ad un baiocco la libbra e che a tutti fosse consentito venderlo.

Insieme a Guglielmo Manni e Francesco di Battista si occupò, dal 10 dicembre 1559, di aggiornare gli Statuti alle nuove leggi.

La sua sepoltura è nella Collegiata di San Leonardo. In seguito alle trasformazioni dell’edificio della seconda metà del ‘700 la sua tomba è finita nel piccolo corridoio che unisce la Sacrestia all’Altare della Madonna del Rosario. La lapide che oggi vediamo a metà della navata sinistra è stata spostata alcuni anni fa per dargli visibilità. La data 1587 non corrisponde a quella della sua morte, dato che lo troviamo ancora in Consiglio nel 1591, fra l’altro per la prima volta con il cognome Fabbrucci invece che con la paternità.

Dal 1598 troviamo suo figlio Bartolomeo a ricoprire incarichi comunitativi.

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