L’Arcivescovo di Parigi

Andiamo a conoscere un altro Cardinale frequentatore delle nostre terme, Jean-François Paul De Gondi (1613 – 1679), Cardinale di Retz e Arcivescovo di Parigi.

Rispetto al Borromeo, uomo di chiesa e di cultura, il Gondi era di tutt’altra pasta, dedito più alla politica che alla cura delle anime parigine, e non poteva essere diversamente dato che la sua carriera doveva molto alla protezione del Cardinale Armand-Jean du Plessis de Richelieu, primo ministro del re Luigi XIII di Francia: A dieci anni era abate commendatario di Buzay-Quimperlé e di Chaume. A quattordici anni era canonico del capitolo della cattedrale di Notre Dame di Parigi ed ancora doveva essere ordinato sacerdote (!), cosa che avverrà nel 1643 e dopo un paio di mesi (31 gennaio 1644) era già vescovo di Corinto e Arcivescovo coadiutore di Parigi; nel 1652 fu nominato Cardinale.

Una carriera velocissima, talmente veloce da impensierire il successore del Richelieu: l’altrettanto potente Cardinale Giulio Mazzarino il quale aveva timore che il Gondi aspirasse a toglierli il posto da Primo Ministro. E la paura del Primo Ministro di origini abruzzesi non era infondata, il Gondi infatti faceva parte del movimento antigovernativo detto la “Fronda Parlamentare”.

Mazzarino quindi convinse il re Luigi XIV a farlo arrestare nel dicembre del 1652. La prigionia non impedì la nomina del Gondi ad Arcivescovo di Parigi il 21 marzo 1654, ma nemmeno a farlo scarcerare, anzi fu trasferito nella fortezza di Nantes. Ad agosto del 1654 riuscì a fuggire da Nantes con una evasione rocambolesca che vale la pena ricordare, perché da quella deriva anche il suo arrivo a San Casciano.

Era un sabato l’8 agosto del 1654 quando al tramonto l’illustre prigioniero evase dal castello di Nantes: mentre i suoi complici distraevano le guardie facendole bere ed altri soldati erano sugli spalti a vedere un uomo che stava annegando in uno dei canali della Loira, il Cardinale si calava con una corda dai bastioni del castello. Nelle sue Memorie il Gondi ricorda che solo una guardia lo vide e, mentre accendeva lo stoppino dell’archibugio, il Cardinale ebbe la prontezza di spirito di urlargli che se avesse sparato sarebbe stato impiccato, il soldato ebbe paura che il comandante della guarnigione avesse favorito l’evasione, e quindi evitò di sparare. Due ragazzini lo videro mentre scendeva, cominciarono ad urlare ma nessuno gli dette ascolto, pensando che indicassero l’uomo che stava affogando. Finalmente giunse ai piedi del bastione, sul fossato dove altri quattro complici fingevano di abbeverare i loro cavalli, li raggiunse e salì a cavallo con direzione Parigi. Era per loro fondamentale raggiungere la porta esterna della città prima che fosse dato l’allarme; nonostante l’intervento di Boisguerin che tentò di frapporsi fra il Cardinale e le due guardie della porta, il cavallo di Gondi ebbe uno scarto e lo disarcionò facendogli sbattere una spalla contro lo stipite della porta, rompendogliela. Il dolore era forte, nonostante fosse più volte sul punto di svenire, il Cardinale riuscì a raggiungere gli altri congiurati in un’isola al largo della Loira, e da lì, vestito da straccione dentro una barca di sardine, raggiunse la Spagna. La tappa finale era Roma, e nel suo viaggio si fermò in Toscana ospite prima del Granduca Ferdinando II a Firenze e poi di Mattias de’ Medici a Siena.

Nel viaggio verso a Roma fece il primo incontro con il nostro territorio e non fu dei migliori, infatti nei pressi di Centeno finì con la carrozza dentro l’Elvella in piena, per via delle forti piogge che caratterizzarono il novembre del 1654.

Giunto a Roma non rinunciò alla passione politica ed entrò a far parte dello “Squadrone Volante”, un gruppo di poco più di una decina di Cardinali indipendenti dai condizionamenti dei rispettivi sovrani, e furono proprio questi a determinare l’esito del Conclave che portò all’elezione al soglio pontificio del senese Fabio Chigi con il nome di Alessandro VII.

Nei tormentati mesi di esilio romano, l’Arcivescovo oltre che dalle accuse di Luigi XIV era tormentato dai dolori alla spalla sinistra, rotta a causa della caduta da cavallo durante l’evasione da Nantes. Per curarsi si era affidato dapprima al miglior chirurgo di Roma e poi ad un contadino delle terre del Principe Borghese, del quale si diceva facesse miracoli, ma il risultato fu che gli venne rotta la spalla altre due volte senza per questo migliorare la sua condizione. Si decise così, nell’estate del 1655, a chiedere al Papa il permesso di “ricorrere alle acque di San Casciano”. Perché scelse San Casciano? Senza dubbio il Papa conosceva le nostre Terme, dato che i Chigi erano loro assidui frequentatori, così come le conosceva Mattias de’ Medici che lo aveva ospitato appena giunto in Italia, anche il Cardinale Decio Azzolini Juniore, capo dello “Squadrone Volante”, ne poteva essere stato il suggeritore dato che a San Casciano ritrovò la salute suo zio Lorenzo Azzolini Vescovo di Narni dopo essere stato inutilmente curato dai più valenti medici romani.

Purtroppo l’Arcivescovo non ne trovò che scarso profitto, ma rimase favorevolmente colpito dal posto, tanto che il 10 giugno 1656 vi fece ritorno, fuggendo da Roma dove era scoppiata un’epidemia di peste. Vi rimase fino ai primi di agosto, quando iniziò il suo peregrinare in Europa nel tentativo di tornare in Francia. Lui stesso ebbe a sottolineare nelle sue Memorie la “pace di San Casciano”, un aggettivo ed un apprezzamento tanto più importante, in quanto proveniente da un uomo noto per la sua scarsa sensibilità estetica per le cose ed i paesaggi. Anche per lui non ci è dato sapere quali tipi di cure fece per curare la spalla rotta durante l’evasione da Nantes (e di nuovo due volte rotta dal contadino del Borghese). Seguendo sempre il testo del Bottarelli (1684) potremo pensare ad una doppia cura: immersione nel Bagno di Santa Maria e fangatura con la creta del Bagno a Loto, almeno questa era la procedura che usavano per le lussazioni. Oppure è possibile l’utilizzo dell’acqua di San Giorgio che «fa principalmente i suoi pregi al mondo tutto conoscere nell’ulcere putride prodotte dalla corruttela degl’umori dall’interno trasmessi nell’estima, e superficiale parte del corpo, et ivi invecchiate ; o rimaste da grave ferita, e communicate all’osso sottoposto la corruzione», inoltre «si vede poi di continuo con brevità indicibile estrarre quest’acqua dalli membri offesi in ossi corrotti, e scheggiati, ferri, palle, stecchi, o altro simile istrumento lacerante, incidente, e penetrante la carne, ivi penetrato con violenza; e benché venghi da alcuni attribuito tale effetto alla manuale operazione, che vi si presta di quando in quando; crederei non dimeno, che per non aver mani quest’acqua, nello spazio di poco tempo, produrrebbe gl’istessi effetti della mano, senza dolore del paziente».

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