I fermani: il Vescovo Lorenzo Azzolini ed il Beato Antonio Grassi

Fermo e Recanati erano il fulcro del bacino d’utenza marchigiano per le nostre terme.

Il fermano Lorenzo Azzolini (1583-1632), nipote del cardinale Decio Azzolino seniore e zio del cardinale Decio Azzolino juniore, era Vescovo di Ripatransone prima e Narni poi, fu uno dei collaboratori di Papa Urbano VIII e di suo fratello il Cardinale Francesco Barberini che seguì nelle missioni diplomatiche a Parigi e Madrid, fino a ricoprire la carica di Segretario di Stato, ma soprattutto, l’Azzolini fu un grande estimatore e frequentatore delle nostre terme, dedicandogli anche vari poemetti.

E alcuni (sfortunati) frequentatori fermani delle nostre terme contribuirono alla causa di beatificazione di un loro concittadino, Padre Antonio (Vincenzo) Grassi (1592-1671), sacerdote della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, canonizzazione avvenne il 30 settembre 1900 con papa Leone XIII.

Tra i miracoli e le profezie attribuite al Grassi alcune riguardano proprio San Casciano.

A riunire e pubblicare la vita di Padre Antonio Grassi fu Cristofaro Antici nel 1687, procuratore della causa di beatificazione del Grassi, con il volume “Vita del Ven. Servo di Dio P. Antonio Grassi della Congregazione dell’Oratorio di Fermo. Tratta dà Processi fatti per la sua Beatificazione, e da molte Scritture autentiche, e degne di fede”. Cristofaro Antici ed i suoi familiari li ritroviamo spesso a San Casciano: nel 1648 Cristofaro con Francesco Palazzini da Fermo; nel 1650 Antonio con Cesare e Carlo Antici; nel 1651 Antonio con la moglie Ludovica, suo fratello il preposto di Recanati e Girolamo Zampini de Tolomei, Pietro Martire Gelmini, Francesco Magi, Carlo Antonio Confalonieri e Paolo Leonardi; nel 1652 torna Cristofaro da solo. La loro residenza sancascianese preferita era quella di Lutio Riccardini dove soggiorneranno sempre.

Il primo caso “sancascianese” si riferisce al piccolo Giovanni Francesco Saverio Savini di undici anni, sofferente per alcune spine ventose, un tipo di tubercolosi scheletrica che interessa soprattutto le falangi ed i metacarpi, che lo avevano reso infermo. Giunto a San Casciano, il giovane fu assalito dalla febbre ed i nostri medici lo consigliarono di ritornare a casa, dove giunse in pessime condizioni. A Fermo era assistito da Aurelia, la moglie del Capitano Marc’Antonio Savini, la quale si rivolse a Padre Antonio Grassi perché pregasse per il nipote. Padre Antonio la rincuorò dicendole che la febbre sarebbe sparita, ma che poi sarebbe divenuto un angelo, e toccò quindi il braccio sinistro del malato. Il miracolo si compì, Giovanni dopo essere guarito “sopravvisse cinque anni, con un’innocenza di costumi così Angelici, che venendo poi à morte, lasciò fondatissima speranza, che, conforme havea predetto Antonio, fusse assunto trà gli Angioli in Paradiso”.

Insieme al giovane Savini era venuto a San Casciano anche Don Girolamo Finocchio, sacerdote di Montegranaro, pure lui però fu colto dalla stessa febbre e fu rispedito a casa. Anche per lui Aurelia chiese l’intervento di Padre Antonio il quale l’assicurò che anche il sacerdote avrebbe racquistato la salute. Guarito dalla febbre Don Girolamo ebbe però “una gran flussione di sangue”, facendo temere anche per lui una forma di tubercolosi. Aurelia tornò di nuovo da Padre Antonio e questo, ancora una volta, la rincuorò dicendole che Don Girolamo “non sarebbe in alcun modo divenuto Tisico”. I medici erano invece scettici, ma alla fine ebbe ragione Padre Antonio, l’Antici infatti ci ricorda che “contro il parere del Medico è successo, poiche non solo non diede in quella indispositione, mà hoggi tuttavia si conserva con perfetta salute, senz’alcun dubbio di tal male”.

Il terzo caso si riferisce ad Antonio Antici che abbiamo visto insieme alla sua famiglia era un assiduo frequentatore di San Casciano. Questa volta era ospite di Giovan Battista Fabbrucci e con lui c’erano anche Fabio e Lucrezia Cento, sempre di Recanati. Erano arrivati il primo di luglio 1659, invece che ad ottobre come facevano sempre gli Antici, e mentre era a San Casciano fu assalito anche lui dalla febbre e ripartì alla volta di casa, aiutato ed accompagnato da un altro suo concittadino, il Capitano Giacomo Confalonieri, che invece era ospite dal 10 luglio da Giovanni di Felice. Giunti i due a Perugia le condizioni di Antonio peggioravano, quindi fu visitato da un medico che consigliò il Confalonieri di accelerare il ritorno a casa per vedere se l’aria di casa giovasse in qualche modo al malato o che, almeno, “haverebbe terminata la vita frà suoi”. In effetti Antonio giunge a Recanati quasi cadavere. Cristofaro, che era il fratello di Antonio Antici, ne parla a Padre Antonio ed insieme partono da Fermo alla volta di Recanati. Giunti al capezzale dell’infermo, Padre Antonio Grassi si rivolge a Giulio, il padre di Antonio e Cristoforo, e gli dice “che non è niente, mi credevo che il male fosse più grave, non è niente”. Giulio è perplesso, il medico lo stesso, Antonio non conosce, non parla, è infermo. Padre Antonio continuò a rincuorare il genitore e dopo aver toccato il braccio sinistro del malato (come aveva fatto con il giovane Savini) uscì. La mattina dopo, quando tornò a trovarlo, “lo trovò di modo sollevato dal suo male, che ricuperando con celerità le forze, non solo risanò affatto, mà sopravvisse altri undici anni”.

Padre Antonio Grassi

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